Il legale:
l’argentino non dovrà versare i 40 milioni chiesti dall’Erario.
Immediata la replica:
il debito non
è stato annullato, adesso
valutiamo azioni legali.
Diego
Maradona contro il fisco. Prima l’annuncio che il campione aveva estinto i suoi
debiti, poi la smentita dell’Agenzia delle Entrate. «Ora può tornare in Italia
da uomo libero», ha detto l’avvocato Angelo Pisani che ha assistito l’ex “pibe
de oro” insieme all’avvocato Angelo Scala.
La
Commissione Tributaria Centrale, ha riferito il legale, ha confermato la
nullità, anche per Maradona, degli accertamenti fiscali eseguiti sul finire
degli anni ’80 a carico della Società Sportiva Calcio Napoli e di suoi
tesserati stranieri - oltre al fuoriclasse argentino, anche i brasiliani Careca
e Alemao - per compensi pagati a società estere per lo sfruttamento dei diritti
di immagine. La Commissione Tributaria ha, inoltre, evidenziato l’estinzione
per condono dei giudizi fiscali a carico del Napoli e, di conseguenza, a carico
di Maradona e dei due brasiliani in maglia azzurra in quegli anni.
«Maradona
- ha detto l’avvocato Pisani - è finalmente libero dall’incubo del fisco e
dalle strumentalizzazioni a suo carico e ha dato mandato di agire in giudizio
nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e dell’Agente di riscossione per
chiedere il risarcimento dei danni personali, all’immagine, patrimoniale e da
perdita di chance subiti in questi anni di persecuzione con cartelle pazze:
risarcimento per una somma quanto meno equivalente alla stessa pretesa
ingiustamente addebitatagli, e cioè 40 milioni di euro».
Ma poco
dopo è arrivata la smentita. «La Commissione tributaria centrale non ha
annullato, né dichiarato estinto, né modificato il debito che il signor Diego
Armando Maradona ha con l’erario italiano», afferma l’Agenzia delle Entrate che
anzi sottolinea come sia stata «rigettata» la richiesta di adesione al giudizio
sul Napoli avanzata dal calciatore. Annunciando che si valuterà «avviare azioni
legali, anche in sede civile, a tutela della propria immagine», l’Agenzia delle
Entrate smentisce così la lettura del dispositivo della sentenza fatta
stamattina dall’avvocato Angelo Pisani. In particolare, entrando nel merito
della decisione presa dalla Commissione Tributaria Centrale in un procedimento
riguardante il Napoli Calcio e i due giocatori Careca e Alemao, evidenzia che
«al contrario la Commissione ha rigettato la richiesta di intervento adesivo
dipendente avanzata dal calciatore Maradona nel giudizio in questione, rispetto
al quale lo stesso Maradona era estraneo».
L’Agenzia
mette poi in risalto tutte le altre sentenze che, invece, vedono Maradona
condannato al rispetto degli obblighi tributari. «Si ricorda altresì - prosegue
la nota - che il debito tributario del sig. Maradona è stato ormai confermato
da innumerevoli sentenze della giustizia tributaria, a partire dalla sentenza
della Ctp (Commissione tributaria provinciale) di Napoli n. 786/2001,
confermata in appello dalla sentenza della Ctr (Commissione tributaria
regionale) Campana 1091/2002 e quindi dalla sentenza della Corte di Cassazione
n. 3231/2005, per arrivare alla sentenza della Ctp di Napoli n. 321/17/2012,
con la quale è stato respinto il recente ricorso del sig. Maradona diretto a
rimettere in discussione il giudicato già formatosi in riferimento al suo
debito con lo Stato italiano. Assai di recente è poi dovuta tornare sulla
questione la stessa Ctp di Napoli con la sentenza 7/21/2013 che ha dichiarato
inammissibile un’ultima iniziativa del sig. Maradona, condannandolo alla
refusione delle spese di giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate e di
Equitalia Sud».
«In merito
alla reiterata diffusione di notizie inesatte e di fatti che non rispecchiano
la posizione dell’Agenzia, né la situazione in cui versa il sig. Maradona
rispetto ai suoi obblighi verso la medesima e verso lo Stato italiano -
conclude la nota in riferimento a quanto dichiarato stamattina e nel recente
passato da uno dei legali dell’ex calciatore - l’Agenzia valuterà la
sussistenza dei presupposti per avviare azioni legali, anche in sede civile, a
tutela della propria immagine».
fonte: La Stampa
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